Questioni di qualità o solo formalità? Continuerò a non studiare a non lavorare a non guardare la tivù. A non andare al cinema a non fare sport. A evitare le insegne luminose che attirano allocchi. A non essere pigro di testa. A non mentire. Ma ben vestito, quello si

lunedì 28 gennaio 2013

La vertigine. Il mio crimine


Ho passato molto tempo nella mia vita a lavorare su me stesso, per certi versi posso considerarla una fortuna, non tutti hanno il tempo di elaborare gli eventi del tempo. Sono arrivato ad avere coscienza di quella che è la mia essenza. Per cui la mia domanda ricorrente ora, è se ne valeva la pena fare quel passo, ben sapendo le conseguenze che avrebbe portato dentro di me. Ne valeva la pena rimettersi in gioco sapendo che se si fosse presa una certa direzione sarei tornato al punto di partenza? Errori importanti, dimenticanze paradossali, per pochi attimi di serenità ripagati da infiniti periodi di inquietudini, incorniciati da vuoti incolmabili. Eppure la strada era segnata, sono caduto nell’unica cosa che avrei dovuto tenere a distanza da me. Il mio punto debole, quel vortice che inarrestabile, risucchia tutto, coinvolgendo da prima le mie idee, il mio pensiero e poi il fisico e tutto ciò che mi circonda. Senza poter trovare un minimo spiraglio, una luce anche fosse artificiale, se non solo ulteriori consapevolezze, impassibili certezze.. Tutto si apre davanti a me sul ciglio dell’apatia, che combatto con tutte le forze per allontanarla. In trincea senza protezioni, sotto colpi di mortaio, senza un piano preciso per un contrattacco. 
Non sono mai stato persona dai facili entusiasmi, mi meraviglio quando succede. A volte lo stupore e la passionalità prendono il sopravvento su me stesso, dimentico di chiedermi il perché. Eppure lo so, non sono capace, non devo vivere la mia vita al di sopra delle mie possibilità. Dovrei chiudermi in me stesso e smettere di frequentare alcune circostanze della vita,  mettere la giusta distanza tra me e gli altri, tutelarmi e proteggermi dagli eventi inaspettati che si parano davanti a me. In questo modo impedirei a quel vortice di emozioni belle e coinvolgenti ma massacranti nel contempo di cui, forse, non c’è bisogno, di prendermi, inglobandomi, così senza senso, in quei vuoti fatti di bagliori deboli e aria rarefatta. 
Rifuggire da vertigini e tachicardie, è la mia direzione. 
Abbandonando quei campi di battaglia. Avrei potuto farlo prima. Ho visto e assaporato molte cose nella mia vita, non tutto, non tutto quello che avrei voluto, che avrei desiderato. Ci sono dei limiti che non riesco a oltrepassare non ho forza, non ho dote per farlo. Si tratta solo di carpirlo, metterlo a fuoco e ripiegare su altri orizzonti. Posso rimettermi in un angolo e ripassare ogni momento ed ogni istante senza più addentrarmi in quella ricerca spasmodica stancante. Di cosa poi. 
Rimettere il mio abito migliore e trattare i sentimenti e le complicità con quell'occhio distaccato di cui ero capace. 
Ci sono stati giorni in cui avrei dovuto fare altro, ci sono stati giorni in cui i miei occhi avrebbero dovuto guardare altro, oppure, che so, andare a dormire presto, svegliarmi tardi. Usare la ragione e non ascoltare i richiami delle sirene. Avevo l'opportunità di scegliere, la necessaria  conoscenza di me, per prendere la strada giusta, mentre la ragione cedeva davanti all'istinto e all'immaginazione, le stagioni passavano tra l'impazienza e l'irriverenza. Abbandonando qualsiasi punto di vista obbiettivo sul divenire degli eventi, come un ingenuo qualsiasi.
Ogni giorno della vita mia vive nella stanza che ho adibito alla mia malinconia. Rimango qui con la mia intima consapevolezza di un sentimento che non cambia, che non si indebolisce nonostante le intemperie, i miei repentini cambi di umore. Vibra tra gli abissi e il cielo, lasciandomi in quella terra di nessuno che è la labilità che mi circonda e mi invade. Nonostante le mancanze, nonostante le lontananze, lo coltivo come un fiore, nutrendolo e prendendomi cura di LEI. Può sembrare stupido ma è una mia urgenza, una necessità, un confine tracciato tra la il mio peso e il mio vuoto. Le vertigini non sono mai state semplici per le anime che hanno incrociato la mia strada e neppure per me. 
Ho piacere quando arriva la sera nonostante il vento fuori e dentro me, addormentarmi è semplice, si attenua il vortice, arriva una leggera quiete che in breve tempo mi rapisce. Nonostante i sogni, o gli incubi a seconda del punto di vista che mi concedo. 
La mattina al mio risveglio mi guardo allo specchio  riprovando a mettere in ordine nella mia nottata. 
Finché mi addormenterò la sera e mi risveglierò la mattina riuscendo a guardarmi allo specchio, tutto andrà bene e forse in quegli attimi sfiorerò quella cosa che chiamiamo felicità. Così astratta, così sfuggente da farci dubitare in certi momenti della sua esistenza. Ma come un ossessivo ripetersi degli eventi, le vertigini ricominciano ad assorbirmi ogni mattina. Posso solo provare ad esorcizzarle. Scrivendone.
Posso solo continuare a combatterle come un Partigiano, lassù sulle montagne nascosto a difendere ciò che non c'è. 
E' il mio crimine, lo rivorrei.

(Scritta in un inizio primavera di qualche tempo fà)

venerdì 4 gennaio 2013

Ciò che rimane sono un pugno di ricordi che si ricopriranno di polvere, le domeniche che ritornano domeniche, i lunedì che ritornano lunedì.

lunedì 19 novembre 2012

In novembre

Siamo stati poco insieme
mi hai rincorso.
Io rincorrevo te.
Non ti raggiungevo, non ti raggiungerò mai.
In quel freddo e tra quelle foglie morte
il pensiero era ed è speranza.
Ritrovarci.
In quelle ore nebbiose e buie io dov'ero?
E ora dove sono?
Tu sei sempre lì, dritto, davanti a me.
Accompagni la mia confusione
assorbi le mie inquietudini.
In novembre, tra le foglie morte
il freddo come abitudinario compagno di viaggio.
Come sempre e per sempre.
Tutti i giorni, le ore i minuti i secondi.
E' il mio novembre, nebbie autunnali, pensieri.
Ricordi

venerdì 6 aprile 2012

Sarajevo, esterno notte


Sono passati vent'anni. All'ora ne avevo appena compiuti diciotto. 
Il periodo storico della guerra nell'ex Jugoslavia mi ha sicuramente segnato, nel bene e nel male.
Un uscire dall'incanto giovanile per conoscere i meandri più neri della natura umana. 
Scoprire come vanno davvero le cose quando le storie prendono una brutta piega. 
Nel mio immaginario mi laceravo, pensando a come potesse cambiare un atteggiamento verso altre persone in così poco tempo. Com'era possibile che popolazioni, vicine, inglobate in un'unica società potessero arrivare all'efferatezza della pulizia etnica. Vicini di casa che condividevano le loro vite di punto in bianco si trucidavano tra di loro in nome di un odio etnico religioso tenuto represso per anni.
Così vicini a noi! E nonostante tv e giornali ne parlassero anche con dovizia, non si respirava nelle nostre strade, nelle piazza, nella vita di tutti i giorni, una preoccupazione, un' inquietudine forte e partecipativa per quello che accadeva laggiù, oltre l'Adriatico.
Vicino a noi, non dissimili da noi. La banalità del male offerta in sacrificio in nome della religione. Deprimente evoluzione del degrado mentale umano. 
I nomi di quelle cittadine, di quei paesi rasi al suolo dalla furia di quella pazzia, di quella malattia mentale, li ricordo quasi tutti, risuonano nella mia testa e non vogliono essere dimenticati: Goradze, Srebrenica,  Bijeljina,  Bihac, Brcko, Grbavica, Visegrad, Mostar e Sarajevo assediata per quasi quattro anni dai cecchini. Paesi di collina, di montagna come i nostri, simili ai nostri.
Non si può far cadere nell'obblio quegli eventi. Dalla loro elaborazione qualcosa ti cambia ed io non posso dimenticare quell'evento che ha acceso dentro di me il fuoco del dubbio, rimettendo in discussione molto di quello che in precedenza era il mio credo. Accendendo una riflessione su quello che è, che era l'odio nella nostra società all'alba del declino.
Negli anni precedenti convivevo con il dogma della chiesa, con la fede nella religione Cristiana. Quello che avvenne dopo il 6 aprile 1992 accese la mia inquietudine ed i miei dubbi. Dubbi che mi allontanavano sempre più dalla fede, dalla chiesa, da parole forti spesso ripetute tanto per dire , dai dogmi religiosi in generale è da quel groviglio di predicatori in malafede portatori di verità assolute. Se un credo religioso equivale ad avere il diritto di vita o di morte su chi non la pensa come te, allora non è una cosa che faccia per me. Se la religione divide invece di unire, allora qualcosa non va e non da ora, da molto tempo. Così ebbe inizio il mio progressivo allontanamento dalla fede, dalla religione e da quell'assopimento intellettuale che è lo scopo cardine di ogni religione.Un percorso critico di tutto ciò che era stata nella mia vita, la Chiesa tra la tradizione e la superstizione. Ed oggi alla fine di quel cammino anche se secondo qualcuno sono diventato estremo nei miei giudizi, mi sento più libero e non assoggettato a nessuna verità assoluta. Ora posso cercare di capire le storture della storia umana utilizzando una lente diversa.
Non bisogna dimenticare quello che successe in quegli anni, tutto può ripetersi anche in luoghi impensabili. Il fanatismo è intrinseco nel nostro essere. 
Dovremmo farci delle domande e cercare dentro di noi delle risposte. Che senso ha la fede se viene sotterrata da un odio che di sacro non ha niente? Che senso ha credere in qualcosa e professare tutto l'opposto. Che senso ha tutto quest'odio. Che senso ha avuto tutto quel sangue versato.
Mentre Sarajevo bruciava, l'occidente gozzovigliava indifferente alla cena finale del secondo millennio 
Oggi ha Sarajevo sono state deposte undicimila sedie rosse, vuote. Una per ogni vittima di quel disumano assedio.
Sotto la polvere degli anni la scintilla etnica è ancora viva pronta ad esplodere ancora.


"Occorre essere attenti per essere padroni di noi stessi"

giovedì 1 marzo 2012

E' eterno ogni minuto, ogni bacio ricevuto dalla gente che ho amato. (Lucio)

venerdì 17 febbraio 2012

Vent'anni

Vent'anni fa ero molto più giovane, arrogante, con tante idee e molta confusione. Vent'anni fa iniziavo a comprendere quei meccanismi che governavano questo mondo. Venivano al pettine quei nodi nascosti ma che in molti, se non tutti, conoscevano. Si apriva un varco in quella buia e fumosa cortina, la chiamammo speranza, o almeno cosi la chiamavamo noi, sognatori per anagrafica. I giornali la chiamarono tangentopoli, in un groviglio di sbarre, manette, monete e volti strafottenti. Vent'anni fa sembrava aprirsi davanti a noi un futuro diverso, più equo, più umano, con un volto nuovo.
Vent'anni dopo sembra che niente sia accaduto, sembra che la storia  si diverta a farci girare intorno al nulla per riportarci sempre negli stessi luoghi dove nulla cambia, tutto cambia, per rimanere uguale a se stesso. Vent'anni dopo non coltivo più quelle speranze, non ho più quelle arroganze, cammino per la mia strada, spesso m'illudo prima di rabbuiarmi. Mi volto spesso, sorrido amaro e torno a camminare su quel sentiero contorto e avvilente che qualche folle ha disegnato e qualche pazzo chiama patria.

domenica 5 febbraio 2012

Infezione

Non ho mai avuto fretta. Ho sempre preferito aspettare, osservare lo scorrere , le persone passare, oggetti cadere. Immaginare.
Sono qui, come se il mio essere fosse altrove. Attendo altra neve che cadrà dal cielo.
Accarezzerà le nostre terre ormai aride, ridando quiete silenzio e speranza ad un mondo oramai infetto.

martedì 27 dicembre 2011

Il Partigiano

La felicità della democrazia, la felicità di essere, di sentirsi uomini liberi. Tutti, liberi di vivere la vita nelle sue infinite forme, di manifestare, di realizzarsi come cittadini, di assumere diritti e doveri.
Questa felicità non è un bene astratto o uno stato ideale irrealizzabile, è qualcosa di estremamente concreto e cogente, qualcosa che ha spronato una generazione a volere e a fare la guerra partigiana, la guerra di liberazione dagli occupanti tedeschi.
Siamo liberi ma la mediocrità della vita ci sta soffocando. Apro la televisione, i giornali, ascolto le radio: è una marea di falsità e di stupidità che non ci dà tregua. Seguo i dibattiti politici, un bla bla bla ripetitivo, parole elusive prive di senso, una recita che ha dell’osceno perché capisci benissimo che i buoni intenti sono una copertura, un diversivo, e che al contrario tutti pensano ai buoni affari. Da cui una sorta di nausea per la politica in generale, vissuta come un colossale inganno e presa in giro.
La democrazia è il modo migliore di vivere associati, le sue forme sono le migliori, le sue ragioni inoppugnabili, ma se lascia che gli interessi privati prevalgano sui generali può diventare oggetto di feroci critiche e di odio, come all’inizio del secolo scorso, quando l’odio per la democrazia divampava in tutta Europa e creava i mostri del fascismo.

Giorgio Bocca (1920-2011)

mercoledì 14 dicembre 2011

Scatti

Osservare una fotografia è come rivere quell'attimo in cui l'hai scattata. Devi immortalare l'immensità di quel perduto millesimo di secondo, carpirne la sensazione che ti da nel momento stesso in cui la osservi, in cui ti entra sotto pelle, dentro il cervello. Evitare di elaborarla con occhio critico o tecnico. Solo così sarà la poesia dell'immagine ad aprirsi nella mente. Sarà una mano invisibile a condurci in quei luoghi fermi nel loro movimento instabile. E le molecole vibreranno creando quell'alienazione spazio temporale chiamata nostalgia.

mercoledì 30 novembre 2011

Le nebbie


Da queste mie nebbie.
Tra questi vitigni spogli immersi nell'opaco
i peschi nudi al primo freddo
le nebbie nascondono i segreti.
Il bagliore arrossato della sera
lievi luci penetranti in densità compatta 
lamiere umide avvolte da acquosa aria.
E tra piccoli sospiri color cenere
le nebbie traspirano immaginazione.
Avvolgenti catene autunnali.
Silenziosi soliloqui: dove sei, tu