Questioni di qualità o solo formalità? Continuerò a non studiare a non lavorare a non guardare la tivù. A non andare al cinema a non fare sport. A evitare le insegne luminose che attirano allocchi. A non essere pigro di testa. A non mentire. Ma ben vestito, quello si

giovedì 28 aprile 2011

Fukushima mon amour

"E' probabile che noi moriremo senza esserci mai più rivisti."
"E' probabile, si. Salvo forse un giorno, la guerra."
"Si, la guerra."
La sera rossastra, il sole ad ovest, alle spalle, un verde irreale un  momento fatale, l'oceano laggiù, in una calma apparente, spettrale.
La centrale devastata, liberata dal suo guscio l'energia cattiva scaturita dalle tenebre umane.
Lui e Lei. Immersi in un attonito silenzio di devastazione, circondati da quel veleno trasparente, attorniati dai ciliegi in fiore colmi di sensuale bellezza e vaneggiata speranza.
Un ultimo rincorrersi, sfiorando le labili emozioni di quel momento senza fine certa.
Come elettroni a girare intorno a quel nucleo a forma di cuore che li stringeva alla realtà,  in una primavera atomica senza alba, senza speranza.
Solo resti, scorie di una guerra mai combattuta, persa, senza resa, senza onore.
Trema la terra, sussulti violenti, come a volersi scrollare di dosso i germi che la insidiano.
La radioattività uccideva i loro corpi, avvelenava lentamente le loro anime deboli in quelll'inferno invisibile.
Gocce amare sopivano la sensibilità, poco a poco, intontivano l'intensità dei silenzi rotti da faticanti parole di nulla.
Il cielo violaceo sopra Fukushima, era un presagio satollo di energia, quell'energia contrastata dalla forza di un abbraccio avvolgente e violento, contaminato da milioni di particelle impercettibili. Penetranti aghi nelle carni giovani oramai indebolite, segnate da un inutile coraggio, da un ultimo sussulto di dignità beffarda.
Le parole cadevano nell'aria come petali, leggere e amorali, le colline dolci scendevano come a posarsi nelle braccia del mostro, sdraiato tra macerie, lamiere contorte. nelle ombre nascoste dell'animo umano.
Un ultimo inutile tentativo di fermare quello che non si può fermare.
L'estate sarà veleno iniettato lentamente nel loro sangue, nelle nostre certezze divenute inutili
Tra millenni e mutevoli trasmigrazioni di anime, i fantasmi smetteranno di inseguirli nell'oblio.
Si ritroveranno all'ombra dei ciliegi in una primavera post atomica.
Vomiteranno ricordi privi di senso in un susseguirsi di dubbi intrisi di dolore nell'inspiegabile proseguio dell'assurdità umana.
Fukushima, sarà il suo nome.
"E' come l'intelligenza, la follia. Lo sai?
Non si può spiegarla, proprio come l'intelligenza: ti viene addosso, ti riempie di sè, e allora la capisci. 
Ma quando t'abbandona, non la capisci più."


Liberamente ispirato con tutte le cautele del caso in lugubre chiave contemporanea da "Hiroshima mon amour" di Alain Resnais 1959

 .

lunedì 25 aprile 2011

La lunga notte


Lo scenario che si apriva era disarmante, il chiaro scuro tenue della nottata faceva sembrare quel luogo disperso, irreale. Ogni scelta era discutibile e non senza rischi. Nel pacchetto accartocciato rimaneva una sola sigaretta, da dividere in tre. La notte era lunga.
Il gelo di quel'inverno 1944 aveva raffreddato anche gli animi più sereni e convinti. Decidere era sempre più difficile, sotto una pressione dura da reggere. Il nemico poteva essere nelle loro stesse condizioni, ma non era dato pensarci, l'importante era temerlo, continuare a temerlo.
Agire sempre come se fosse davanti a loro, pronto a fare fuoco.
Il buio dei boschi e i rimasugli di neve ghiacciata accompagnavano i ragazzi all'incontro con la Staffetta.
In un silenzo surreale ed inquietante. La luna, oltre le creste, stendeva un leggero velo di fioca luce. Il giusto per poter tenere le lampade spente e per distinguere i contorni delle immagini che si ponevano davanti agli occhi assonnati di quelle temerarie sentinelle, indebolite dalla battaglia di sopravvivenza con la natura.
L'ora era giunta, accompagnata da un groppo alla gola soffocante. Nei dintorni nessun movimento, lo sguardo scandagliava il minimo angolo, alla ricerca del più piccolo segnale. In fondo un leggero movimento di rami rinsecchiti, un sussulto li raggiunse, il cuore impazziva, le mani abbracciarono il Mab in un gesto oramai automatico. La sua voce flebile subito a tranquillizzarli. Apparve con tutto il calore che emanava, i capelli sciolti lungo la schiena sopra la pesante giacca e la sua visibile fatica. Lentamente si lasciò sfilare il pesante zaino dalle spalle. Li guardò negli occhi, come un ideale abbraccio. Il suo viso, era luminoso, sillabando qualcosa si voltò. Il sentiero in discesa le si apriva davanti. Era la prima volta che saliva lassù.

lunedì 18 aprile 2011

All apologies

L'aridità

Mi dimentico delle persone,  ricordo solo me stesso. L'aridità s'impadronisce di me desertificando il verde che ho intorno, come a  fare terra bruciata al limitare dei miei confini.
Dimentico l'umano che dovrebbe essere in me, la pazienza scompare uccisa da ribellioni malevoli sviluppate da pensieri decadenti. Distruggo senza senso lunghe ore di lavoro su di me. Uccido sensibilità sapendo che ne pagherò le conseguenze un attimo dopo. Le domande non contano più.
L'importante è solo respirare.
E' una vile circostanza, è un' ermetica certezza, in questa mia lasciva impunità.
Cos'altro potrei dire di me?

mercoledì 13 aprile 2011

L'indifferenza

Il giorno in cui sono nato ho ricevuto un permesso di soggiorno temporaneo, senza il bisogno di prescrizioni brevi sono arrivato qui.
Guardo fuori, ed ogni cosa dentro, crolla nell'indifferenza.

"Creare è resistere. Resistere è creare". Oggi ancora di più

venerdì 8 aprile 2011

La nuit étoilée


Quando mi ritrovai di fronte questi colori, a questo blu, in me si aprì una porta che conduceva diretta alla follia della mano che aveva creato questo squarcio profondo d'anima. Quelle stelle così grandi e lucenti facevano intravedere le anime disperse in mezzo ad un' oscurità travolgente. Le vite di chi non ha mai smesso di guardare oltre, anche non sapendo cosa fosse quell'oltre.
Forse è solo un angolo dentro di me che ha bisogno di quella luce folle per dare risposte a domande che risposte mai avranno, ma non posso fare a meno di tuffarmi tra le case di quel borgo addormentato, silenzioso, vegliato da una grazia indefinibile. Percorrendo i suoi angoli, accompagnato dalla solitudine, senza nessuna esigenza di incontrare le persone che lo vivono. Solo scrutare dentro l'intimità del ricordo che  colora gli spiriti andati altrove, come rapito da una sindrome di Stendhal ad inseguire un niente sincopato, distorto. E quel cielo, che rincorro tra le alture e le discese sperdute di sentieri stretti e scoscesi, affrontando le asperità tra un respiro e l'altro. Rincorrere emozioni lontane dal raziocinio, sbucando nell'immensità di una follia insana che accompagna il cammino di viandanti senza meta. Fino a dimenticarsi di tutto, di cos'è il bene, di cos'è il male, non perdendo mai di vista la bellezza. Quella bellezza intrisa di infinità, dimenticata da gran parte dell'umanità, assopita, impegnata a volteggiare nelle più materiali avventure. Perdendosi in un labirinto di idolatria malevola, velata di noia e labilità.
Provo ad inseguire quelle stelle, ad inseguire quella follia.