Questioni di qualità o solo formalità? Continuerò a non studiare a non lavorare a non guardare la tivù. A non andare al cinema a non fare sport. A evitare le insegne luminose che attirano allocchi. A non essere pigro di testa. A non mentire. Ma ben vestito, quello si

venerdì 23 settembre 2011

Simili

Dissimulo.
Attraversando vie ebbre d'aria salmastra,
giunta improvvisamente alle spalle
dal porto sdraiato sul bordo della vastità.
E' un brivido
sale sotto la pesantezza di abiti leggeri
scontra la pelle in un circolo di violenza
non spazza via le gioie morbide
non cancella i segni sulla polvere
ne i demoni sulla linea del fronte.
L'odore di antico vela il lato oscuro
in bilico costante tra il bianco e il nero
scariche elettrostatiche dividono il tempo
tagliano i secondi in piccole gocce vellutate
strade ciottolose si bagnano sotto suole trascinate.
E' un umido salire verso l'alto
situazioni che condensano movimenti simili.
Condivido la febbre delle muse di cartapesta
dal cielo nuvole bianche
frammenti veloci tagliano il crepuscolo orizzontale.
Certezze fisiche sventrate da fuggevoli particelle
oltre la luce, schiacciano il ventre
le palpebre fisse sulla tela.
Sono un cattivo attore su questo palcoscenico.

venerdì 16 settembre 2011



Au bord du lac j'ai rempli mon âme de nuances 
tes sphères d'influences sont mes pensées massacre 
ma faiblesse est mon unique force, au fond du sac... 
Ta mouvance
Dans une maison sans murs, absente de fondations ai construit ma destinée 
Je suffoque au beau milieu d'une pièce en mouvement d'influences
Dans la seconde chambre, enfermé mes pensées massacre, fantasmes
Sur la terrasse j'ai respiré ton souffle, ta violence 
Ta prudence

lunedì 5 settembre 2011

Una metafora di ciò che non siamo


... il rugby è spesso raccontato
con una retorica che lo rende irriconoscibile. Ai molti che non ne
conoscono le regole appare la sfrenatezza di un regime psichico
primitivo segnata dai gesti di ragazzotti saturi di irrequieto
testosterone. In questa luce, non se ne intravedono le metamorfosi di
comportamento che si consumano nel gioco né quanto quelle metamorfosi
siano indotte da un pratica auto-repressiva, governata dal Super-Io.
Credo che non sia coerente allora parlare di “follia”, di “caos”, di
«una partita di calcio che va fuori di testa». Il rugby è una faccenda
per niente caotica o folle. Quindici uomini contro quindici,
separati con nettezza dalla linea immaginaria creata dalla palla, in
gara per conquistare l’area di meta e schiacciarvi l’ovale.
Si conquista insieme il terreno, spanna dopo spanna. Lo si difende
insieme. Non esiste Io, se non vuoi andare incontro a guai seri per te
e la tua squadra. Esiste soltanto Noi. Il rugby è lineare, addirittura
spudorato nella sua essenzialità. È colto perché, nonostante l’
apparenza, è l’esatto contrario di tutto ciò che è naturale. Nelle sue
manifestazioni migliori, mai scava nella cloaca degli istinti o nel
gorgo emotivo. Al contrario, impone controllo. Dicono che educhi, ma
istruisce. Dicono che dia carattere, invece accultura. Postula una
placenta comunitaria; un pensiero ordinato; paradigmi condivisi senza
gesuitismi o imposture.
Nessun odio e, per riflesso, nessuna paura (l’odio è paura
cristallizzata, odiamo ciò che temiamo). Sottende una forza spirituale
prima che fisica. Esclude la mossa furbesca, la sottomissione
gregaria, l’arroganza del prepotente. Aborre ogni cinismo
immoralistico perché è capace di essere schietto e leale nonostante la
violenza o forse proprio grazie a quella. Dite, si può immaginare
qualcosa di meno italiano? Ogni passo nel rugby (valori, pratiche,
comportamenti, riti) è in scandalosa contraddizione con quella
specificità italiana che glorifica l’ingegno talentuoso e non il
metodo. La furbizia e non la lealtà. L’inventiva e mai la
preparazione. Il “miracolo” e mai l’organizzazione. L’individualità e
mai il collettivo. Il caldo piacere autoreferenziale del “gruppo
chiuso” e mai il desiderio di farsi stimare da chi al “gruppo” (ceto,
famiglia, corporazione) non appartiene: la più grande soddisfazione di
un giocatore di rugby, anche se sconfitto, è l’ammirazione che suscita
nell’ avversario. Il rugby – la comprensione del gioco, della sua
nervatura, del suo spirito e consuetudine – spiegano, come meglio non
si potrebbe, il deficit del carattere italiano e le debolezze del
nostro stare insieme.
Ecco perché a noi del rugby piace pensare che questo gioco così
estraneo all’identità nazionale possa offrire, felicemente, un esempio
per riformarla.
Le prenderemo, ma non importa. 

Play up and play the man!


Giuseppe D'Avanzo