Questioni di qualità o solo formalità? Continuerò a non studiare a non lavorare a non guardare la tivù. A non andare al cinema a non fare sport. A evitare le insegne luminose che attirano allocchi. A non essere pigro di testa. A non mentire. Ma ben vestito, quello si

martedì 27 dicembre 2011

Il Partigiano

La felicità della democrazia, la felicità di essere, di sentirsi uomini liberi. Tutti, liberi di vivere la vita nelle sue infinite forme, di manifestare, di realizzarsi come cittadini, di assumere diritti e doveri.
Questa felicità non è un bene astratto o uno stato ideale irrealizzabile, è qualcosa di estremamente concreto e cogente, qualcosa che ha spronato una generazione a volere e a fare la guerra partigiana, la guerra di liberazione dagli occupanti tedeschi.
Siamo liberi ma la mediocrità della vita ci sta soffocando. Apro la televisione, i giornali, ascolto le radio: è una marea di falsità e di stupidità che non ci dà tregua. Seguo i dibattiti politici, un bla bla bla ripetitivo, parole elusive prive di senso, una recita che ha dell’osceno perché capisci benissimo che i buoni intenti sono una copertura, un diversivo, e che al contrario tutti pensano ai buoni affari. Da cui una sorta di nausea per la politica in generale, vissuta come un colossale inganno e presa in giro.
La democrazia è il modo migliore di vivere associati, le sue forme sono le migliori, le sue ragioni inoppugnabili, ma se lascia che gli interessi privati prevalgano sui generali può diventare oggetto di feroci critiche e di odio, come all’inizio del secolo scorso, quando l’odio per la democrazia divampava in tutta Europa e creava i mostri del fascismo.

Giorgio Bocca (1920-2011)

mercoledì 14 dicembre 2011

Scatti

Osservare una fotografia è come rivere quell'attimo in cui l'hai scattata. Devi immortalare l'immensità di quel perduto millesimo di secondo, carpirne la sensazione che ti da nel momento stesso in cui la osservi, in cui ti entra sotto pelle, dentro il cervello. Evitare di elaborarla con occhio critico o tecnico. Solo così sarà la poesia dell'immagine ad aprirsi nella mente. Sarà una mano invisibile a condurci in quei luoghi fermi nel loro movimento instabile. E le molecole vibreranno creando quell'alienazione spazio temporale chiamata nostalgia.

mercoledì 30 novembre 2011

Le nebbie


Da queste mie nebbie.
Tra questi vitigni spogli immersi nell'opaco
i peschi nudi al primo freddo
le nebbie nascondono i segreti.
Il bagliore arrossato della sera
lievi luci penetranti in densità compatta 
lamiere umide avvolte da acquosa aria.
E tra piccoli sospiri color cenere
le nebbie traspirano immaginazione.
Avvolgenti catene autunnali.
Silenziosi soliloqui: dove sei, tu

mercoledì 2 novembre 2011

Ritornerò

Come sempre. Le chiavi nella serratura, la mano che gira decisa la chiave, veloce. Uno, due, tre, quattro, cinque mandate a rompere il silenzio. Come non finissero mai. Mi volto e l'oscurità novembrina è li che arriva, mi guarda dall'alto, mentre mi dico ad alta voce. "Ritornerò qui, venerdì".
Ricomincerò a fuggire da te, nelle tue belle mattine ancora giovani.

mercoledì 19 ottobre 2011

Esistere psichicamente

Da questa artificiosa terra-carne
esili acuminati sensi
e sussulti e silenzi,
da questa bava di vicende
- soli che urtarono fili di ciglia
ariste appena sfrangiate pei colli -
da questo lungo attimo
inghiottito da nevi, inghiottito dal vento,
da tutto questo che non fu
primavera non luglio non autunno
ma solo egro spiraglio
ma solo psiche,
da tutto questo che non è nulla
ed è tutto ciò ch'io sono:
tale la verità geme a se stessa,
si vuole pomo che gonfia ed infradicia.
Chiarore acido che tessi
i bruciori d'inferno
degli atomi e il conato
torbido d'alghe e vermi,
chiarore-uovo
che nel morente muco fai parole
e amori.

(Andrea Zanzotto 1921-2011)

venerdì 14 ottobre 2011

Desassossego


Lentamente muore chi diventa schiavo dell’abitudine, ripetendo ogni
giorno gli stessi percorsi, chi non cambia la marca, chi non
rischia e cambia colore dei vestiti, chi non parla a chi non conosce.
Muore lentamente chi evita una passione, chi preferisce il nero su
bianco e i puntini sulle “i” piuttosto che un insieme di emozioni,
proprio quelle che fanno brillare gli occhi, quelle che fanno di uno
sbadiglio un sorriso, quelle che fanno battere il cuore davanti
all’errore e ai sentimenti.
Lentamente muore chi non capovolge il tavolo, chi è infelice sul
lavoro, chi non rischia la certezza per l’incertezza, per inseguire un
sogno, chi non si permette almeno una volta nella vita di fuggire ai
consigli sensati. Lentamente muore chi non viaggia, chi non legge, chi
non ascolta musica, chi non trova grazia in se stesso. Muore lentamente
chi distrugge l’amor proprio, chi non si lascia aiutare; chi passa i
giorni a lamentarsi della propria sfortuna o della pioggia incessante.
Lentamente muore chi abbandona un progetto prima di iniziarlo, chi non
fa domande sugli argomenti che non conosce, chi non risponde quando gli
chiedono qualcosa che conosce.
Evitiamo la morte a piccole dosi, ricordando sempre che essere vivo
richiede uno sforzo di gran lunga maggiore del semplice fatto di
respirare.
Soltanto l’ardente pazienza porterà al raggiungimento di una splendida
felicità.


(Lentamente muore - Martha Medeiros)

mercoledì 5 ottobre 2011

Piove

Piove. È uno stillicidio
senza tonfi
di motorette o strilli
di bambini.


Piove
da un ciclo che non ha
nuvole.
Piove
sul nulla che si fa
in queste ore di sciopero
generale.


Piove
sulla tua tomba
a San Felice
a Ema
e la terra non trema
perché non c'è terremoto
né guerra.


Piove
non sulla favola bella
di lontane stagioni,
ma sulla cartella
esattoriale,
piove sugli ossi di seppia,
e sulla greppia nazionale.


Piove
sulla Gazzetta Ufficiale
qui dal balcone aperto,
piove sul Parlamento,
piove su via Solferino,
piove senza che il vento
smuova le carte.


Piove
in assenza di Ermione
se Dio vuole,
piove perché l'assenza
è universale
e se la terra non trema
è perché Arcetri a lei
non l'ha ordinato.


Piove sui nuovi epistèmi
del primate a due piedi,
sull'uomo indiato, sul cielo,
ottimizzato, sul ceffo
dei teologi in tuta
o paludati,
piove sul progresso
della contestazione,
piove sui works in regress,
piove
sui cipressi malati
del cimitero, sgocciola
sulla pubblica opinione.


Piove, ma dove appari
non è acqua né atmosfera,
piove perché se non sei
è solo la mancanza
e può affogare.



Eugenio Montale

venerdì 23 settembre 2011

Simili

Dissimulo.
Attraversando vie ebbre d'aria salmastra,
giunta improvvisamente alle spalle
dal porto sdraiato sul bordo della vastità.
E' un brivido
sale sotto la pesantezza di abiti leggeri
scontra la pelle in un circolo di violenza
non spazza via le gioie morbide
non cancella i segni sulla polvere
ne i demoni sulla linea del fronte.
L'odore di antico vela il lato oscuro
in bilico costante tra il bianco e il nero
scariche elettrostatiche dividono il tempo
tagliano i secondi in piccole gocce vellutate
strade ciottolose si bagnano sotto suole trascinate.
E' un umido salire verso l'alto
situazioni che condensano movimenti simili.
Condivido la febbre delle muse di cartapesta
dal cielo nuvole bianche
frammenti veloci tagliano il crepuscolo orizzontale.
Certezze fisiche sventrate da fuggevoli particelle
oltre la luce, schiacciano il ventre
le palpebre fisse sulla tela.
Sono un cattivo attore su questo palcoscenico.

venerdì 16 settembre 2011



Au bord du lac j'ai rempli mon âme de nuances 
tes sphères d'influences sont mes pensées massacre 
ma faiblesse est mon unique force, au fond du sac... 
Ta mouvance
Dans une maison sans murs, absente de fondations ai construit ma destinée 
Je suffoque au beau milieu d'une pièce en mouvement d'influences
Dans la seconde chambre, enfermé mes pensées massacre, fantasmes
Sur la terrasse j'ai respiré ton souffle, ta violence 
Ta prudence

lunedì 5 settembre 2011

Una metafora di ciò che non siamo


... il rugby è spesso raccontato
con una retorica che lo rende irriconoscibile. Ai molti che non ne
conoscono le regole appare la sfrenatezza di un regime psichico
primitivo segnata dai gesti di ragazzotti saturi di irrequieto
testosterone. In questa luce, non se ne intravedono le metamorfosi di
comportamento che si consumano nel gioco né quanto quelle metamorfosi
siano indotte da un pratica auto-repressiva, governata dal Super-Io.
Credo che non sia coerente allora parlare di “follia”, di “caos”, di
«una partita di calcio che va fuori di testa». Il rugby è una faccenda
per niente caotica o folle. Quindici uomini contro quindici,
separati con nettezza dalla linea immaginaria creata dalla palla, in
gara per conquistare l’area di meta e schiacciarvi l’ovale.
Si conquista insieme il terreno, spanna dopo spanna. Lo si difende
insieme. Non esiste Io, se non vuoi andare incontro a guai seri per te
e la tua squadra. Esiste soltanto Noi. Il rugby è lineare, addirittura
spudorato nella sua essenzialità. È colto perché, nonostante l’
apparenza, è l’esatto contrario di tutto ciò che è naturale. Nelle sue
manifestazioni migliori, mai scava nella cloaca degli istinti o nel
gorgo emotivo. Al contrario, impone controllo. Dicono che educhi, ma
istruisce. Dicono che dia carattere, invece accultura. Postula una
placenta comunitaria; un pensiero ordinato; paradigmi condivisi senza
gesuitismi o imposture.
Nessun odio e, per riflesso, nessuna paura (l’odio è paura
cristallizzata, odiamo ciò che temiamo). Sottende una forza spirituale
prima che fisica. Esclude la mossa furbesca, la sottomissione
gregaria, l’arroganza del prepotente. Aborre ogni cinismo
immoralistico perché è capace di essere schietto e leale nonostante la
violenza o forse proprio grazie a quella. Dite, si può immaginare
qualcosa di meno italiano? Ogni passo nel rugby (valori, pratiche,
comportamenti, riti) è in scandalosa contraddizione con quella
specificità italiana che glorifica l’ingegno talentuoso e non il
metodo. La furbizia e non la lealtà. L’inventiva e mai la
preparazione. Il “miracolo” e mai l’organizzazione. L’individualità e
mai il collettivo. Il caldo piacere autoreferenziale del “gruppo
chiuso” e mai il desiderio di farsi stimare da chi al “gruppo” (ceto,
famiglia, corporazione) non appartiene: la più grande soddisfazione di
un giocatore di rugby, anche se sconfitto, è l’ammirazione che suscita
nell’ avversario. Il rugby – la comprensione del gioco, della sua
nervatura, del suo spirito e consuetudine – spiegano, come meglio non
si potrebbe, il deficit del carattere italiano e le debolezze del
nostro stare insieme.
Ecco perché a noi del rugby piace pensare che questo gioco così
estraneo all’identità nazionale possa offrire, felicemente, un esempio
per riformarla.
Le prenderemo, ma non importa. 

Play up and play the man!


Giuseppe D'Avanzo

venerdì 19 agosto 2011

Che dire

Che dire di quella notte in cui le stelle ci spiavano, l'erba ci accarezzava e l'odore dell'oscurità ci stringeva nell'infinito dell'indefinito. Nella perdizione totale dei sensi, della ragione.
Nel disintegrare piccole e grandi certezze, in balia delle onde. Di emozioni tremanti.
Brividi che si rincorrevano sui prati verdi della bellezza di un sentimento nuovo, ma antico. Nascosto per tanto tempo chissà dove.
Circondati in quella surreale notte da quella sperduta inquietudine della sua disperata finitudine.

domenica 7 agosto 2011

Non basti mai

Non mi basti.
Non mi basterai mai
Tu le tue nuvole i tuoi petali
La tua scontrositá
La tua dolcezza
La tua pelle
I tuoi silenzi fatti di mille parole.
Tu

lunedì 1 agosto 2011

le labbra

Le labbra si inseguirono. Si toccarono per un infinitesimo di secondo.
Uno di quei secondi di cui è composta la vita. E l'errore, dietro l'angolo di una mattina surreale. Svegliarsi, il non girarsi dall'altra parte, lasciando scorrere il tutto verso l'oblio dei secondi dimenticati di cui si compone la vita. E poi il tutto, il niente. Nascosti da fili d'erba.

domenica 17 luglio 2011

In movimento

Il vento spazza l'erba alta
le distese di mais
s'infrange contro ciò che incontra
accarezza le pelle
scolpisce i colori
contorna le vie
agita l'aria trasparente
in movimento gli alberi
la polvere densa
i fili del telefono.
Un attimo di vuoto si condensa tra cieli nordeuropei

venerdì 1 luglio 2011

Molecole

Molecole, siamo molecole disperse nell'aria, nel acqua, nella terra. Imprigionate nella roccia o unite in esili legami atomici. Due atomi, la carne e l’anima.  L'universo come spazio. Molecole che viaggiano nel vento o dentro  gocce di pioggia disperse tra la densità del vuoto, fino ad incontrarsi, ad unirsi in un legame chimico che da vita ad un legame fisico che crea energia, in calde domeniche d'estate, nell'afa acquosa di una pianura tribolata, davanti ad un vino che si fa brodo primordiale, in cui una reazione chimica crea e salda nuova massa, trasparente, impercettibile avvolta in una aurea ingombrante venata di mistico potere.
Immateriale sostanza.
La vita non è altro che un incontro di molecole che unite insieme provocano una reazione chimica.
La creazione di una forma di vita superiore alle stesse parti che la creano. Un mistero mai svelato, energia immensa che si crea, che è parte della stabilità dell’universo.
E' la materia che si veste di tonalità accecanti, di nuove forze, impalpabili agli occhi, pesante in questa sua essenza immersa nel nostro labile viaggio attraverso questo distratto mondo lontanissimo dal kaos del vortice di parole ripetute da particelle vibranti nell'aria calda della sera. Il tutto il niente a renderci simili.

martedì 21 giugno 2011

Lentamente

La  malinconia è un veleno, iniettato nelle vene, come eroina. E' l'odore dei capogiri, lo scorrere delle nuvole su orizzonti invisibili, un girare attorno a vite senza incrociarle, tra metriche distorte e disinvolti piaceri.
Un lamento strozzato, un sorriso anestetico, un urlo silenzioso tra pianure assolate, una stanchezza che sale, un riposo assordante. Un lento cammino a testa in giù, sui sentieri, è un fiume carsico di nascosti pensieri, E' svenire s'un prato, è il passato che diventa futuro, trasforma le vie in glaciali apatie, è un contagio tra le lenzuola nei respiri profondi, è sabbia, è deserto. Una danza ballata da ciechi lungo i bordi, in luoghi vuoti, negli occhi tra la gente. Dimenticati sguardi in fissità. Una piccola cattiveria che ferisce la carne, un ago che affonda dentro l'anima. E' un vino mai più assaporato, aria respirata nell'instabilità, è un libro disperso in polverosi scaffali.
La malinconia è un seme che germoglia nel giardino, invade le rose e le viole, una scia profumata inseguita mai trovata. Cerco l'antidoto ai miei sensi un antibiotico, una cura inquieta alla vita al passar dei solstizi.
La malinconia è un veleno che uccide lentamente.

lunedì 30 maggio 2011

Siempre...



A me il calcio non mi interessa, anzi, è proprio lontanissimo da me. Però faccio mia una battuta di Bersani rivolta a chi come sempre fa finta di niente "abbiamo pareggiato 4 a 0".
E ora sto ad aspettare. Aspetto sui giornali che se ne usciranno con la criminalità cittadina, torneranno sulle prime pagine stupri e rapine. A Milano per magia si scoprirà che c'è la ndrangheta e a Napoli non crederanno ai loro occhi quando scopriranno la camorra. Sui Navigli sbarcheranno immigrati brutti e cattivi e i cinesi si'impadroniranno della città. Si scoprirà che si sniffa più cocaina di quanti caffè si bevono. Qualcuno dichiarerà , come fosse una novità "Milano capitale della droga".
E merda, tanta merda addosso a chiunque.
Ora desidero che chi ha vinto faccia quello che deve fare: prenda in mano la scopa ed inizi a spazzare, pulire, ripulire disinfettare ed indichi a chi di dovere qual è la porta d'uscita. Ricordandosi che certe scelte nella vita non le prescrive il medico. Auguri... e.. silvio, se dio esiste che ci salvi da te e dalla tua corte senza futuro.
Io sto qui, ad aspettare, immobile, sul ponte il tuo passaggio.

E ora ritorno al mio silenzio

giovedì 19 maggio 2011

Senza tempo

Che luce strana stasera. Sabbia è il cielo in questo momento. Divago tra versi e stanchezze, ricordando un vecchio Juke Box che a quest'ora della sera suonava a ripetizione canzoni di liscio tanti anni fa. Quanti anni sono passati eppure sento ancora il suono limpido nelle orecchie. Divago tra vernici e polvere passata che solo al tatto trasmette immagini che i sensi elaborano in milionesimi di secondo. Polvere e luce che  fu, torna a posarsi sui polpastrelli invecchiati. Divago su strade poco frequentate tra l'ombra e la luce, il fresco e la calura. Divago nella mia stanchezza, nel mio mal di schiena, sul mio ginocchio che ancora scricchiola, e la voglia di rimettere il viso al vento, sotto il sole con piccole gocce che scorrono sulla fronte bollente. Distruggermi ed assopirmi senza tempo.

venerdì 13 maggio 2011

Lo spettatore

“Il cinema della distanza che aveva nutrito la nostra giovinezza è capovolto definitivamente nel cinema della vicinanza assoluta. Nei tempi stretti delle nostre vite tutto resta lì, angosciosamente presente; le prime immagini dell’eros e le premonizioni della morte ci raggiungono in ogni sogno; la fine del mondo è cominciata con noi e non accenna a finire; il film di cui ci illudevamo di essere solo spettatori è la storia della nostra vita”.

Un poeta, qualche tempo fa.

martedì 10 maggio 2011

La primavera non basta

La primavera non basta. Non basta l'aria fresca che porta con se il sale dal mare laggiù, in fondo a quella discesa, quella maledetta discesa. Non bastano gli amici che pedalano al tuo fianco, che si lanciano in discesa insieme a te attendendo la quiete della sera in un albergo disperso in ogni parte del mondo. Non bastano le persone che ti seguono, che ti aspettano a casa. Non bastano la fatica e i dolori, la lieve felicità di trovarti li, fare quello che desideri di più nella tua vita, sotto il sole e nella pioggia. Scompaiono quei colori nel buio nascosto di un muretto, li per caso. Secondi lunghissimi. Il gruppo fugge, nel passo veloce dell'inconsapevolezza. Fugge la tua vita, li, con loro. Il buio. Le luci si spengono su quel fazzoletto d'asfalto scuro, tagliente. Lontano, disperso nel verde. E le luci si spengono, non c'è arrivo, non c'è traguardo non c'è più nulla. Solo un continuo pedalare, lentamente sulla strada più ripida che si possa incontrare, Schivando i pericoli della retorica, inutile, obbligata. E tutto tace. In questo silenzio, la primavera non basta.

sabato 7 maggio 2011

Lost in Dublin

Un'altro bicchiere svuotato in poco tempo ed è solo da poche ore che sono qui.
All'arrivo ad accogliermi nebbia, vento e pioggia. Sapevo dei capricci del clima di queste terre. Quasi un augurio di benvenuto nel mezzo di quell' umida oscurità.
I colori grigi e verdi che ho sempre pensato sono davanti a me, reali e concreti, ma altri sono i colori vivaci che stupiscono e ti confondono le idee.
Andare in certi luoghi fino ad ora sconosciuti è un po' fare i conti con la tua realtà. E' un susseguirsi di domande su come sarebbe stata la tua vita se fossi nato qui o altrove. Come il tuo senso della vita sarebbe stato diverso, come la naturale evoluzione avesse cambiato il tuo essere. I nostri pensieri, i nostri dogmi, le nostre paure, le nostre verità, ti accorgi che derivano molto dal contesto che ti circonda, che ti spreme, che da tutto quello che nasce dentro di noi. Le radici sono fuori di noi, noi possiamo solo prenderci cura di loro, elaborarle, adattare al nostro modo di essere. Una continua evoluzione.
Seduto qui, mentre il locale a quest'ora del pomeriggio inizia a riempirsi, guardo dalla finestra infondo alla sala; c'è più luce, il sole anima le vie. I volti delle persone che incrocio incuriosiscono, leggo quel che posso attraverso i modi e i gesti di sconosciuti, vite lontane e vicine che con tutta probabilità mai più incontrerò, forse è per questo che ho avidità di immagini, di sensazioni. Raccogliere quei distratti momenti come souvenir di vite sconosciute, reali nella loro naturalezza, entrando e uscendo da un pub all'altro, in un groviglio frettoloso e stancante, bere come non ricordavo di aver fatto da molto tempo a questa parte.
Fotogrammi silenziosi si rivelano in quegli attimi davanti a me. Sentirmi qui da solo in questo viaggio, accompagnato da persone sbagliate. Sono barriere che si creano tra le persone nonostante le conosci da tempo, quando alla meglio non si ha più niente da dirsi, o alla peggio non si è mai condiviso un idea, un pensiero nonostante anni di frequentazioni e di scontri. Scontri che fortificano rapporti ma che alla lunga senza un punto in comune finiscono per annoiare ed allontanarti, a non darti più niente. Le "alchimie" lontano da casa si affievoliscono. Deliri composti sull'ordine delle cose. La Garda ad inseguirmi nei vicoli ciechi dentro di me, senza mai raggiungermi. Ma so che mi basta questa gente di questa sconosciuta Dublino.
Passeggiando tra i viali della periferia tra case basse, ordinate, accoglienti nei loro spazzi vitali, gli alberi già fioriti, la sera sulla Baia giunge, arrossando le nuvole diradate in cielo. In un ordine tridimensionale le luci si accendono, la città cambia volto in una tonalità crepuscolare piacevole. Ancora Guinness a scorrere nella gola con il suo gusto amaro così simile al sapore della vita. Osservo di continuo tutte queste persone riversate dalle cinque di pomeriggio nei Pub di Temple Bar a dimenticarsi, a confidarsi tra sconosciuti, a divertirsi immersi tra pinte di birra scura che sembra non bastare mai. Molti di quei volti ti raccontano di loro con parole che prendono vita. Non è importante se la loro lingua a me è quasi sconosciuta, io capisco, loro capiscono me, nell'imbarazzo gesticolante di parole confuse. In un risveglio dei sensi la radioattività pare sia già qui, arrivata da lontano, si sente nell'aria. Lascia immagini stampate sulle pareti della città come radiografie. E in quelle immagine vedo sempre lo stesso profilo, lo stesso sguardo intenso, mi segue, mi osserva. Io seguo lei. Dentro e fuori dai locali, dentro e fuori da me, mi guida, in un vortice inspiegabile, mentre le ossa fanno sentire la loro stanchezza in attimi di quiete apparente al calar del vento.
Un susseguirsi di strade e locali, conoscenze sfottenti. Girovagando qua e la, fermandomi ad osservare il cielo nuvoloso di quei mutevoli istanti, tra mercatini affollati e chincaglierie appariscenti, mentre un berretto dalle tonalità verdi mi sorprende nelle sua morbidezza, confondendo il rosa velato che svelava fotografie a chilometri di distanza, in altri luoghi, aprendo stati mentali in invitanti angoli nascosti. Fino a passeggiare lungo il mare, accompagnato da un vento che ti taglia in due senza disturbarti, portandoti nella lontananza selvaggia del verde delle colline che circondano le luci della città.
In quel verde ti perdi, non ritrovi più la direzione, così diverso, a tratti così familiare, affoghi nel nero dei laghi di torba e nell' oscurità liquida delle tante Guinness bevute in quei pub troppo pieni che, stranamente non ti infastidiscono. La primavera si insinua tra le terre e i rigagnoli di acqua nera che scendono dai crinali arrotondati e spogli.
Le devastazioni, i movimenti della terra  non erano poi così lontani, si avvicinavano pesantemente provenienti da altre parti del mondo. Inquiete e fuggevoli riflessioni sulla follia, di quelle ultime ore stanche con la poca voglia di riprendere il volo e tornare a sud, nel disordinato ordine delle cose. Insani pensieri all'ombra dell'ultima pinta tra la gente d'Irlanda, con il suono di violini e fisarmoniche a scandire lo scorrere delle lancette, nell'ultimo tuffo dentro quegli occhi irrequieti.
Dovevo perdermi. Avrei voluto perdermi in quelle notti d'Irlanda, ma avevo un indirizzo in tasca e c'erano troppi taxi  quella notte a Dublino.

Diario di un breve viaggio lontano da qui nel mese di marzo 2011 mentre la terra tremava, l'acqua devastava, la radioattività si disperdeva nell'aria.

giovedì 5 maggio 2011

desassossego

Lentamente muore 
chi diventa schiavo dell'abitudine,
 
ripetendo ogni giorno gli stessi percorsi,
 
chi non cambia la marcia,
 
chi non rischia e cambia colore dei vestiti,
 
chi non parla a chi non conosce.

giovedì 28 aprile 2011

Fukushima mon amour

"E' probabile che noi moriremo senza esserci mai più rivisti."
"E' probabile, si. Salvo forse un giorno, la guerra."
"Si, la guerra."
La sera rossastra, il sole ad ovest, alle spalle, un verde irreale un  momento fatale, l'oceano laggiù, in una calma apparente, spettrale.
La centrale devastata, liberata dal suo guscio l'energia cattiva scaturita dalle tenebre umane.
Lui e Lei. Immersi in un attonito silenzio di devastazione, circondati da quel veleno trasparente, attorniati dai ciliegi in fiore colmi di sensuale bellezza e vaneggiata speranza.
Un ultimo rincorrersi, sfiorando le labili emozioni di quel momento senza fine certa.
Come elettroni a girare intorno a quel nucleo a forma di cuore che li stringeva alla realtà,  in una primavera atomica senza alba, senza speranza.
Solo resti, scorie di una guerra mai combattuta, persa, senza resa, senza onore.
Trema la terra, sussulti violenti, come a volersi scrollare di dosso i germi che la insidiano.
La radioattività uccideva i loro corpi, avvelenava lentamente le loro anime deboli in quelll'inferno invisibile.
Gocce amare sopivano la sensibilità, poco a poco, intontivano l'intensità dei silenzi rotti da faticanti parole di nulla.
Il cielo violaceo sopra Fukushima, era un presagio satollo di energia, quell'energia contrastata dalla forza di un abbraccio avvolgente e violento, contaminato da milioni di particelle impercettibili. Penetranti aghi nelle carni giovani oramai indebolite, segnate da un inutile coraggio, da un ultimo sussulto di dignità beffarda.
Le parole cadevano nell'aria come petali, leggere e amorali, le colline dolci scendevano come a posarsi nelle braccia del mostro, sdraiato tra macerie, lamiere contorte. nelle ombre nascoste dell'animo umano.
Un ultimo inutile tentativo di fermare quello che non si può fermare.
L'estate sarà veleno iniettato lentamente nel loro sangue, nelle nostre certezze divenute inutili
Tra millenni e mutevoli trasmigrazioni di anime, i fantasmi smetteranno di inseguirli nell'oblio.
Si ritroveranno all'ombra dei ciliegi in una primavera post atomica.
Vomiteranno ricordi privi di senso in un susseguirsi di dubbi intrisi di dolore nell'inspiegabile proseguio dell'assurdità umana.
Fukushima, sarà il suo nome.
"E' come l'intelligenza, la follia. Lo sai?
Non si può spiegarla, proprio come l'intelligenza: ti viene addosso, ti riempie di sè, e allora la capisci. 
Ma quando t'abbandona, non la capisci più."


Liberamente ispirato con tutte le cautele del caso in lugubre chiave contemporanea da "Hiroshima mon amour" di Alain Resnais 1959

 .

lunedì 25 aprile 2011

La lunga notte


Lo scenario che si apriva era disarmante, il chiaro scuro tenue della nottata faceva sembrare quel luogo disperso, irreale. Ogni scelta era discutibile e non senza rischi. Nel pacchetto accartocciato rimaneva una sola sigaretta, da dividere in tre. La notte era lunga.
Il gelo di quel'inverno 1944 aveva raffreddato anche gli animi più sereni e convinti. Decidere era sempre più difficile, sotto una pressione dura da reggere. Il nemico poteva essere nelle loro stesse condizioni, ma non era dato pensarci, l'importante era temerlo, continuare a temerlo.
Agire sempre come se fosse davanti a loro, pronto a fare fuoco.
Il buio dei boschi e i rimasugli di neve ghiacciata accompagnavano i ragazzi all'incontro con la Staffetta.
In un silenzo surreale ed inquietante. La luna, oltre le creste, stendeva un leggero velo di fioca luce. Il giusto per poter tenere le lampade spente e per distinguere i contorni delle immagini che si ponevano davanti agli occhi assonnati di quelle temerarie sentinelle, indebolite dalla battaglia di sopravvivenza con la natura.
L'ora era giunta, accompagnata da un groppo alla gola soffocante. Nei dintorni nessun movimento, lo sguardo scandagliava il minimo angolo, alla ricerca del più piccolo segnale. In fondo un leggero movimento di rami rinsecchiti, un sussulto li raggiunse, il cuore impazziva, le mani abbracciarono il Mab in un gesto oramai automatico. La sua voce flebile subito a tranquillizzarli. Apparve con tutto il calore che emanava, i capelli sciolti lungo la schiena sopra la pesante giacca e la sua visibile fatica. Lentamente si lasciò sfilare il pesante zaino dalle spalle. Li guardò negli occhi, come un ideale abbraccio. Il suo viso, era luminoso, sillabando qualcosa si voltò. Il sentiero in discesa le si apriva davanti. Era la prima volta che saliva lassù.

lunedì 18 aprile 2011

All apologies

L'aridità

Mi dimentico delle persone,  ricordo solo me stesso. L'aridità s'impadronisce di me desertificando il verde che ho intorno, come a  fare terra bruciata al limitare dei miei confini.
Dimentico l'umano che dovrebbe essere in me, la pazienza scompare uccisa da ribellioni malevoli sviluppate da pensieri decadenti. Distruggo senza senso lunghe ore di lavoro su di me. Uccido sensibilità sapendo che ne pagherò le conseguenze un attimo dopo. Le domande non contano più.
L'importante è solo respirare.
E' una vile circostanza, è un' ermetica certezza, in questa mia lasciva impunità.
Cos'altro potrei dire di me?

mercoledì 13 aprile 2011

L'indifferenza

Il giorno in cui sono nato ho ricevuto un permesso di soggiorno temporaneo, senza il bisogno di prescrizioni brevi sono arrivato qui.
Guardo fuori, ed ogni cosa dentro, crolla nell'indifferenza.

"Creare è resistere. Resistere è creare". Oggi ancora di più

venerdì 8 aprile 2011

La nuit étoilée


Quando mi ritrovai di fronte questi colori, a questo blu, in me si aprì una porta che conduceva diretta alla follia della mano che aveva creato questo squarcio profondo d'anima. Quelle stelle così grandi e lucenti facevano intravedere le anime disperse in mezzo ad un' oscurità travolgente. Le vite di chi non ha mai smesso di guardare oltre, anche non sapendo cosa fosse quell'oltre.
Forse è solo un angolo dentro di me che ha bisogno di quella luce folle per dare risposte a domande che risposte mai avranno, ma non posso fare a meno di tuffarmi tra le case di quel borgo addormentato, silenzioso, vegliato da una grazia indefinibile. Percorrendo i suoi angoli, accompagnato dalla solitudine, senza nessuna esigenza di incontrare le persone che lo vivono. Solo scrutare dentro l'intimità del ricordo che  colora gli spiriti andati altrove, come rapito da una sindrome di Stendhal ad inseguire un niente sincopato, distorto. E quel cielo, che rincorro tra le alture e le discese sperdute di sentieri stretti e scoscesi, affrontando le asperità tra un respiro e l'altro. Rincorrere emozioni lontane dal raziocinio, sbucando nell'immensità di una follia insana che accompagna il cammino di viandanti senza meta. Fino a dimenticarsi di tutto, di cos'è il bene, di cos'è il male, non perdendo mai di vista la bellezza. Quella bellezza intrisa di infinità, dimenticata da gran parte dell'umanità, assopita, impegnata a volteggiare nelle più materiali avventure. Perdendosi in un labirinto di idolatria malevola, velata di noia e labilità.
Provo ad inseguire quelle stelle, ad inseguire quella follia.

sabato 26 marzo 2011

Bugs. In my head

All these... 

I got bugs 
I got bugs in my room 
Bugs in my bed 
Bugs in my ears 
Their eggs in my head 
Bugs in my pockets 
Bugs in my shoes 
Bugs in the way I feel about you 

Bugs on my window 
Trying to get in 
They don't go nowhere 
Waiting, waiting... 
Bugs on my ceiling 
Crowded the floor 
Standing, sitting, kneeling... 
A few block the door 

And now the question's: 
Do I kill them? 
Become their friend? 
Do I eat them? 
Raw or well done? 
Do I trick them? 
I don't think they're that dumb 
Do I join them? 
Looks like that's the one 

I got bugs on my skin 
Tickle my nausea 
I let it happen again 
They're always takin' over 
I see they surround me, I see... 
See them deciding my fate 
Oh, that which was once...was once up to me... 
Now it's too late 

I got bugs in my room...one on one 
That's when I had a chance 
I'll just stop now 
I'll become naked 
And with the...I'll become one 

martedì 22 marzo 2011

Memorie di una testa tagliata

Chi è che sa di che siamo capaci tutti
vanificato il limite oramai
si avvicina l'inverno
soffice crepitio sulla terra
pomeriggio dolce assolato terso
sotto un cielo slavo del sud
slavo cielo del sud non senza grazia

Salgo, lento, leggero
caldo sbuffo animale
penetrante m'assale
un ultimo pensiero odora di te
mi distendo aprendomi
tensione verticale
rallenta il mio respiro
scende in profondità
si adatta al soffio del mondo
pomeriggio dolce assolato terso
sotto un cielo slavo del sud pieno di grazia

In basso, in fondo, giù
la mia testa tagliata
porge uno sguardo fisso
immutabile ormai
sguardo compassionevole

Replay:
la mia testa tagliata
Replay:
sguardo compassionevole
sguardo fisso oramai

Replay:
vuoto
Replay
vuoto

(G. L. Ferretti)

domenica 20 marzo 2011

Stagioni

Ho seppellito tutto sotto una coltre di foglie ingiallite dall'autunno.
Ora su quelle foglie fattesi elemento nutriente sbocciano viole e primule.
Un'altra primavera, dopo un'altro inverno.
La ripetizione ossequiosa dello scorrere, come un fiume in piena
nella nostra precessione degli equinozi.
Attraversando fulgidi ricordi tra i primi raggi di sole, ingannevoli.
Le labbra non si dimenticano

domenica 6 marzo 2011

Fotogramma n° 1 - Nelle vie dell'anima

Esterno giorno - Tra i muri e le vie strette -

Camminare a passo lento tra le pietre che compongo quel dipinto quasi astratto, sottili vie, che si aprono in piazzette dove la luce del sole di fine inverno scalda i respiri di travagliati inverni.
Si incontrano i momenti in quei frangenti, si materializzano, come fossero li a guardarti, a spiarti incuriositi, vedere se sei cambiato o se sei ancora quello che passava di li e respirava quell'aria distrattamente tanti anni fa.
Nel passeggiare in mezzo alla solitudine incontri fotografie, attimi andati ancora vivi, incisi in quelle pietre. Dalle case vuote giungono grida risate rumori che si  fanno ascoltare dalla mente in un silenzio malinconico, con i colori catartici di un ricordo mai sopito. Le fontane gocciolano come un tempo, il suono è sempre lo stesso, forse l'unica cosa che non è mai cambiata. Fuori dall'Osteria ti sembra di vedere persone irriverenti alla vita con bicchieri e sigarette accese, mentre la porta si apre e qualcuno si rintana al caldo della stufa prendendo le carte e passando ore solo all'apparenza di niente. Sono attimi e tutto poi ritorna silenzioso. Finché nelle vie solitarie si materializzano davanti a te persone laboriose e indaffarate con quella scintilla negli occhi di chi è felice del passare del tempo tra lavori e fatiche.
Il sole è alto, scalda appena, il cielo è terso.
I miei occhi dalla Piazza, possono viaggiare da un estremo all'altro della valle senza ostacoli. La Piazza è luminosa, spoglia, come sempre l'aria si fa sentire sulla pelle nella sua ruvidezza. Il silenzio si confonde con la pace del Camposanto, sembra non ci sia nessuno, sembra siano tutti fuori, chi nelle proprie case, chi tra i caruggi o all'osteria a giocare a briscola, a bersi un bicchiere. Chi a lavorare negli orti o a piantare le patate verso Pianseiun. Giù in strada il silenzio è surreale, solo all'apparenza sembra di ascoltare in lontananza automobili arrivare. Il vortice ti accoglie, osservi nitidamente quelle giornate fatte di arrivi e partenze, di saluti veloci con gli occhi rivolti altrove, come per dissimulare le emozioni rinchiuse in noi, come una fuga dall'irreale per ritornare a quel reale conflittuale dentro di noi. .
Il Salone è chiuso, ma si distinguono tra i refoli di vento che lo contornano, figure pigre, sedute. Un attimo silenziose e l'attimo dopo loquaci e serene. Attendono la fortuna, gli eventi, la notte che verrà, racchiusi in pensieri tra il superficiale e il profondo, fra sguardi evasivi e sicuri. Mentre dall'interno il Juke box suona, il rumore della palla del calcetto, sovrasta parole di sfide mai finite tra un bicchiere di vino e uno di birra. Profumi che provengono dalla cucina ti indicano che la sera sta per arrivare.
Passo dopo passo ritorni in luoghi a te familiari, ti accorgi dei cambiamenti, seppur anche minimi negli anni. Ed è un continuo incontro di istantanee che si aprono tra le reminiscenze, diventando reale, fino a toccarle, a conversare con loro, a fermarti a bere un bicchiere con loro.
Dalla Cappelletta sembra di sentire le note della banda e il confondersi tra il verde dei cappelli da alpino, mentre qualcuno aspetta il momento buono per nascondersi e scappare. Rivedi il ritrovo nascosto al buio, le stelle, le nottate in cui si scrutava l'infinito sconosciuto.
In lontananza, Pacosta all'apparenza immersa nella solitudine dei suoi pini. Osservi panchine vuote che in un battito di ciglia ritrovi occupate da anime trasparenti prese nei loro pensieri nelle loro gioie, nei loro dolori, in giornate limpide come questa, oppure in giornate intrise di piccole gocce che cadevano dal cielo a formare pozzanghere in cui era facile cadere. Da lì, il punto di vista, l'immagine delle case tutte rannicchiate tra di loro diventa un'abbraccio stretto tra il tempo, il divenire e te stesso. Il sole in evoluzione compie la sua parabola discendente, il calore emanato è sempre meno. Il campanile rintocca le ore con il suo suono consueto, sempre lo stesso, confortevole, dando vita alle ombre che si allungano sui ciottoli tra le mura.
E' l'ora di preparare la borsa e tornare alla realtà, abbandonare quei colori pastello, i miei colori, per tornare ad immergermi nei colori metallici freddi e distaccati di questi anni.
Sulla strada verso casa incontro qua e la ricordi trasparenti che mi salutano e mi ripetono in continuazione di ritornare presto. Tornerò, a tenervi compagnia, come tutti gli anni. Rivedrò le stesse immagini, le stesse persone, le stesse anime in dissolvenza.
Di queste ore passate rimane impressa l'immagine sovrastante che ha invaso quei luoghi. Dove prima incontravo vecchi ricordi, vecchie emozioni, ora incontro, oltre a loro, trepidazioni che si fanno immagini carnali e poetiche. Mi prendono per mano tra i palpiti e rapiscono i miei sensi, i miei tormenti più intimi le mie sensibilità più nascoste, accompagnandomi tra sorrisi amari verso casa.
La borsa è pronta, la casa è in ordine. Il letto appena rifatto.
Mi ritrovo nella tasca un braccialetto, non ricordo di averlo mai visto, non so come possa essere finito nella tasca della mia giacca. Forse è il potere della magia di quei luoghi, di quelle persone invisibili incontrate. Forse qualcuno di loro l'ha infilato nella mia tasca come ricordo del nostro incontro, forse sono incantesimi. Non ho spiegazioni, non servono, mi basta questo, per posare nel cesto dei ricordi anche le sensazioni di questo giorno. Mi basta per sapere che ci sono luoghi  che spesso parlano di più delle persone che li hanno vissuti.
Scendo le scale con lo zaino in spalla, mi lascio dietro tutto. Riparto per l'ennesimo viaggio silenzioso. Trattengo il respiro in un ultimo veloce sguardo al tempo andato. A presto.

Dissolvenza

martedì 1 marzo 2011

Il mio punto di rottura

E’ tutta una questione di comportamento? E’ solo un modo di comportarsi, reprimendo le proprie parole per non causare danni? Il quieto vivere, dire va bene e poi pensare tutt’altro? Non è così, non è facile trattenermi  se le parole vengono usate a caso (meglio dire a cazzo) svilendo il loro significato. Poi scoppio, non mi trattengo e spesso non è piacevole. Non posso sentirmi dire che “la caratura delle autorità invitate necessita di una locazione adeguata”. Adeguata a cosa, al loro culo? Troppo importanti per sedersi su una sedia di plastica, dobbiamo farli sedere per forza sulle poltrone di pelle che il loro fondoschiena poco affaticato predilige, dato il ruolo che ricoprono? Non sarebbe il caso che questi pseudo elitari post governativi si facciano un bagno di umiltà appoggiando il loro culo direttamente per terra, tanto per avere chiara cos’è la visione “dal basso” dei comuni mortali che tirano la carretta per una vita spesso senza una minima gratificazione? Qual‘ è la “vetrina adatta ad accogliere queste autorità”? Ma un salto spazio/temporale nella vita reale no? E’ troppo chiederlo? E il continuo dire che “noi stiamo in mezzo alla gente” dov’è finito? Ah, è vero parlano ma non ne conoscono il significato. Ma in tutto questo quello che mi fa schifo non è il comportamento di queste piccole autorità. E’ il servilismo accecato di una massa di stupidi che fanno di tutto per entrare nelle grazie di sti mentecatti fuori dal mondo. Questa è prostituzione intellettuale dilaga nella società civile, o meglio ex civile. Non è questione di puttane, è che le puttane sono ovunque uomini o donne, sono intorno a noi. Dove può andare una nazione che si ritrova in questo stato? È un giro di parole, ma si sa: a puttane, solo a puttane può andare. Tutti indaffarati a preparare inutili manifestazioni per la felicità dei superiori, dei padroni. Tutto deve essere preciso, dalla carta da parati ai tappeti, alle sedie, all’acqua minerale, alle belle statuine appositamente posizionate per accogliere il potere. Tutto tranne i contenuti, quelli sono sempre gli stessi, noiosi e scontati, superficiali, evasivi, subdoli. Dedicati ad una massa di servetti inutili sempre pronti a sdraiarsi davanti all’autorità. Non ho problemi a rispettare l’autorità in se, anche se le idee spesso sono l’opposto dello scibile umano. Ma per favore, non chiedetemi di inginocchiarmi, non chiedetemi di abbassare lo sguardo quando stringo qualche mano "importante", non è proprio il caso, non sono la persona giusta. Cercate altrove. Anzi vi dirò, mi sto anche rompendo il cazzo e non faccio fatica a rimettermi a far niente. Tanto qui è una delusione. A parole tutti vorrebbero la rivoluzione,  ma non hanno manco il coraggio di guardarti negli occhi quando gli parli. Prendessimo spunto da quelli che qualche ignorante xenofobo chiamava “bingo bongo” saremmo a buon punto. Ma quelle son persone intelligenti. Mica stupidi e inutili come noi. Ce lo meritiamo Berlusconi, ce li meritiamo i suoi cloni. Ci meritiamo il Berlusconi che è in noi, perché ci fa comodo. Fa comodo in questo mondo inconsapevole abituato ormai a tutto sapere che c'è qualcuno come lui, o peggio di lui. Così l'asticella della dignità la teniamo bassa, che poi se è troppo alta e cadiamo rischiamo di farci male, di perdere le nostre certezze inconsistenti per non dire altro.
Per fortuna ho avuto cattivi maestri, mi hanno insegnato i limiti della decenza, mi hanno insegnato a prediligere la fusione alla fissione e soprattutto mi hanno insegnato a coltivare la libertà di pensiero. Non saranno quattro coglioni a rimettere in discussioni le mie idee. E' l'unica certezza che ho.

venerdì 18 febbraio 2011

Probabilmente

Probabilmente condurre questa danza comporta rischi, di cui non c’era bisogno.
Ma la spirale densa di questa cadenza ci trascina e non pensiamo più a nulla,
fra questa gente colta che impiega continuamente senza errori
congiuntivi, preservativi e formule di cortesia.
E alla fine dei conti che cosa abbiamo capito del nostro viaggio in fondo alla noia?
Probabilmente ci presenteranno il conto alla fine della canzone.
Probabilmente le stelle si spegneranno alla fine della canzone.
Probabilmente creperemo con gli occhi trafitti dalla luce potente Di Dio
o qualche altra sacra diavoleria
E alla fine delle parole ci si dovrà accontentare degli applausi virtuali dei sordomuti.
Tra questa gente che ci sente bene ma che ascolta solo il silenzio,
tra questi riciclatori di denaro sporco e questi anneritori di voci bianche,
tra questi meticci che ci fregano il posto in galera.
Probabilmente, si, probabilmente.
Probabilmente ci si sentirà un po’ più scemi alla fine della canzone.
Probabilmente gli sbirri arriveranno alla fine della canzone.
Probabilmente bisogna schiodarsi dalla linea di tiro di questi maleducati
che impallinano tutto ciò che non riescono a capire. E questa danza ha passi molto complicati.
Tra questa gente che sa trovare le parole giuste quando si muore,
in mezzo a coloro che cadono con gran dispiacere degli assicuratori.
Logora pensare che c’è sempre un bastardo in agguato,
o indossare magliette con la faccia dei propri morti preferiti.
Così fanno, poi se ne vanno.
Tre giravolte ed è la fine di sta cazzo di canzone.

G. Canali

lunedì 14 febbraio 2011

Ci vuole fortuna


Quella serata fredda in riva al mare, quel messaggio che arrivò sul mio cellulare, il brivido. Lo seppi così, insieme a pochi amici chiusi in un locale davanti ad un mare agitato. Era finita un epoca, pensai. Rivivevo le passioni che aveva saputo scatenare e non solo a me. Rivedevo chi non c'era più. Ricordavo la prima volta che lo vidi. proprio li, davanti al mare. Ricordavo le sue salite e la voce di De Zan.
Le sue fughe, i suoi scatti, come un fuggire in solitudine dal mondo. C'era la storia in quelle immagini, una reazione inconsapevole alla solitudine. Il suo scatto secco mentre la strada sale sotto le sue ruote, sempre di più. Una delle cose da salvare, da celebrare. L'emozione era un'ascesa verso vette impossibili e dopo tutto non capivi il perchè. L'ho vissuto e non lo dimentico, sarà per via di quegli anni di improvvisi cambiamenti, sarà perchè c'era la poesia nascosta od osservarlo a tifare per lui. Mentre la fine giungeva in una fredda camera d'albergo in riva al mare,come una coincidenza, tra disordine e letti sfatti, spazzando via le troppe parole, i finti amici, le finte gioie, le sfortune. Ci vuole fortuna, nella vita. "Ci vuole fortuna anche a morire. Non serve volare, ci vuole fortuna, anche per essere un Dio ci vuole fortuna. Perchè non basta la luna in certe sere. Non basta la luna, quando gli amici non si trovano gratis, ci vuole fortuna".
Da quel giorno tutti gli anni mi ricordo di San Valentino, da quel giorno tutti gli anni la malinconia sale sui pedali, fugge in salita. Senza meta.

sabato 12 febbraio 2011

Pavese, Fenoglio e le colline

Nelle giornate limpide se mi affaccio al balcone, in lontananza il Monviso svetta su tutte le altre cime innevate, sotto, a circondarlo come una cornice, dolci colline e ricordi forse stupidi.
Attraversare queste terre, tornare indietro nel tempo, in solitudine come spesso accadeva qualche anno fa.
Le Langhe cambiano, il cemento le ferisce. Il fascino, a fatica si mantiene, la storia, i castelli. Un tempo non c'era neanche l'autostrada forse era più intrigante attraversare quei paesi sempre troppo indaffarati, trafficati, troppo presi per ricordarsi dell' importanza di quelle terre. Tra Cesare Pavese che ancora aleggia sui confini tra Monferrato e Langhe, ricordandoci le lune, le estati, le insoddisfazioni, Beppe Fenoglio, la sua resistenza, le sue questioni private, precursore dell'internazionalizzazione di questa terre con il suo mischiare inglese ed italiano. Ora quella lingua è la seconda lingua al pari dell'italiano. La prima è quell'accento piemontese stretto difficile da capire con quelle venature Occitane, francofone. Ho difficoltà pure io ha capirlo nonostante nelle vene scorra in parte quel sangue.
Partire il sabato mattina, incontrare le sue colline, le sue vigne, i suoi sapori ritrovando amici davanti ad una cucina tanto semplice quanto speciale. Bevendo serenamente vini forti e delicati nel contempo.
Mentre gli occhi passano da vigne a nocciole e laggiù, Alba, la Nutella, antica ricetta locale diventata valore mondiale. Più in su La Morra a guardarci dall'alto delle sue sponde ricamate di vigne, fino a Barolo dove tra le sue vie sembra di sentire quell'odore legnoso di barrique. In alto, la davanti sull'altopiano, Bra, il Roero, i suoi formaggi, la sua voglia di rivoluzione, il voler rallentare il mondo troppo veloce per poter assaporare desideri e virtù. E ancora Dogliani, Carrù con i suoi carrelli di bolliti che ricordano altri "bolliti" dei nostri giorni.
Saziarsi di piccoli piaceri di semplici gesti, riempirsi avidamente, quasi deflagrando, perchè le nostre ricerche spesso ci distolgono dai veri valori. Ci lambisce la noia, ci sconfortano le ossessioni, ci scordiamo di dare il giusto peso alle cose e poi ti ritrovi in semplicità a vivere momenti forse inutili alla vita "pratica" ma ben sapendo che fan parte di quel carburante umano oramai raro, ne sorridi.  Nelle cose semplici forse sta il segreto di tutto e noi ci sforziamo per non vederlo.Cercare odori, sapori e persone speciali, nella semplicità, in paesini lontani, sperduti. Ritornarci. L'antidoto a tutto questo. Le cose semplici  e mai banali. Vorresti imprimere le sensazioni e le emozioni come colori su tele impolverate con pennellate forti e decise accuditi dal fantasma di Chagal.
Ritorno a casa che è sera, fuori nevischia e la temperatura dell'aria la senti in tutti i muscoli, mi riscaldo con il tepore dell'auto, mentre i miei occhi riguardano quei luoghi illuminati dalle troppe luci della sera. Avrei voluto far conoscere questi posti ad una persona, ci penso e ci ripenso guardando intorno a me.
L'asfalto, nel mentre scorre davanti a me nei saliscendi indefiniti tra pianure e colline, e le Alpi alle spalle ad osservare il viaggio infinito.

mercoledì 9 febbraio 2011

Ad occhi chiusi

Di mese in mese  attraversando giorni e notti navigando ore, minuti, secondi. Tentativi di raggiungere un alleanza col più temibile dei nemici. E lui, il Tempo se la ghigna con quello sguardo senza fine incurante delle tue parole.
"Se non lo uccidi ti ci puoi alleare. Così che la tua carne sia plastilina".
Imparerò a leggere ad occhi chiusi. Prima o poi

sabato 5 febbraio 2011

Ancora no

Ecco. Come l'Italia, difendo, placco tutto, ci metto tutta l'anima che ho, creo con sprazzi di fantasia.
Non esco dal campo se non ho fango in ogni angolo della mia pelle. Distrutto, ammaccato, contuso. Ma quella maledetta vittoria, ancora no.
"Metto la testa dove voi non mettereste nemmeno i piedi."

venerdì 4 febbraio 2011

Fotogramma n° 0 - Il principio

Esterno -  In una piazza - Notte

Nell'ombra voci e pensieri di facce conosciute. Sotto un lampione, insetti che svolazzano intorno alla luce. Seduti su pietre fredde  in un angolo. Le scale scendono verso la fine. La notte è lunga, com'è lunga la vita in quel momento. Volti giovani senza barba, in piano sequenza. Parole acerbe di idee intense, forti come possono essere a quell'età. L'ora tarda è solo un finto muro, oltrepassarlo è facile.
Ha inizio qui, e se non li, appena intorno. Tra pensieri disordinati  e parole imprecise, mentre qualcuno origlia dietro le persiane. L'indomani è dietro gli angoli bui delle viette strette, a quell'età la luce non serve. Il principio. Solo 21 grammi e il desiderio di scrivere la commedia perfetta. La suggestione dell'infinità. Do you remember?
Dissolvenza

venerdì 28 gennaio 2011

La politica (e i sentimenti) ai tempi del bunga bunga

Nell'eccitante, ça va sans dire, panorama politico del 2011 d'Italia, continuo a provare a capire cos'è davvero la politica. Ogni momento di più.
L'altro giorno la sala piena, più di cento persone alla conferenza dei servizi indetta per il progetto sull'eolico. progetto che avrà ricadute importanti sul nostro territorio, in tutti casi. Ho capito un po' di più cosa vuol dire tentare di fare qualcosa per le mie terre. Ho capito che prima di tutto bisogna avere una visione, un'idea per poterti confrontare. Ho capito che c'è molta malafede nelle persone è risaputo e neanche troppo scoraggiante. Mi scoraggiano di più i luoghi comuni e la mancanza di coraggio di buona parte della classe dirigente. Il dover mediare tra interessi economici e interessi sociali per poter portare giovamento a chi in queste terre ci vive senza arrivare all'esasperazione. Se mi dicono se sei pro o contro alla TAV in Val Susa la mia risposta è chiara: contro, e non sto a motivare perchè mi dilungherei, ma è chiaro che una lobby molto forte cavalca quel progetto per meri interessi privati. Se mi chiedono se sono pro o contro all'eolico rispondo convinto: si, sono favorevole. Perchè è giunto il momento di ridare dignità e forza a zone che hanno fatto molto per il paese e nonostante questo siano state dimenticate. Perchè prima o poi è giusto che ognuno faccia la sua parte. Perchè se c'è volontà di miglioramento deve esserci anche una volontà di tutela e rispetto dei nostri paesaggi. E con forza cercare in tutti i modi di migliorare le nostre condizioni di vita, rispettando fino in fondo ciò che ci circonda. E qui mi viene in mente una frase: "Ho imparato che il problema degli altri è uguale al mio. Sortirne tutti insieme è politica. Sortirne da soli è avarizia".
Poi ti ritrovi a leggere e ad ascoltare la realtà della politica italiana e non puoi certo biasimare le critiche che emergono. Ma come per la natura dove è importante preservare la biodiversità, è importante preservare la biodiversità anche in politica. Perchè non è come dice la vulgata popolare, non è tutto uguale, non siamo tutti uguali e spesso la "vera politica è come l'amore. Si nasconde".
Non sopporto i "talebani" ora mi trovo ad avere a che fare con loro. Non vuoi le centrali nucleari e neanche le fonti rinnovabili? Può non essere un problema nella tua ottica, basta che chi lo pensa sia coerente con questo pensiero tutti i giorni della sua vita.
Non vorrei vedere anche qui quello che sto vedendo altrove, ben sapendo che "ci si salva e si va avanti se si agisce insieme e non solo uno per uno". Fa male vedere piccoli paesi parte del tuo "essere", in agonia, il cui breve futuro e in mano a pochissimi coraggiosi con tanti anni sulle spalle, con una storia già scritta. Ripenso ad una sera all'osteria dove alcune persone fuggite a cercar fortuna in città avevano una sorta di rimorso ad aver lasciato il paese, vedere che quel posto era oramai sul confine della decadenza. Non voglio che ricapiti in altri luoghi. Per farlo ci vuole coraggio e determinazione. Mettere da parte sterili ideologie e rancori. E' necessario essere uniti ma soprattutto ci vuole sentimento, passione, tanto amore. E follia, tanta follia.

mercoledì 19 gennaio 2011

In un bar, sotto il mare

In queste mattine nonostante le solite abitudini, i soliti orari c'è qualcosa di diverso fuori. Ad attendere i miei occhi ancora altrove c'è un alba silenziosa, limpida ancora scura dove le ombre risaltano i colori dell'orizzonte e Venere sembra osservarci da lassù. Appena sotto è come tuffarsi nelle profondità dell'oceano, mi immergo in una densa nebbia dove i raggi del sole non penetrano, diventano un ricordo. Mi ritrovo a pensarci in quel bar davanti al solito caffè, leggendo le pagine porno dei quotidiani di questi giorni. Ricordo libri e dischi, scritti, suonati in bar sotto il mare. Tutta la giornata passata circondato da aria umida e bagliori di lampioni. Quasi fosse una dimensione parallela dove il tempo scorre in modo diverso ed i secondi si dilatano, a volte più brevi, a volte più lunghi. Fino a sera dove correndo su asfalti umidi salgo lentamente verso le rive di quell'oceano mentale. Avvicinandomi  alla superficie la luce inizia a filtrare cambiando nuovamente i contorni, le prospettive. Velocemente riemergo e come a prender fiato la bocca mi si apre, tra lo stupore e l'automatico. A rivelarsi davanti a me è un tramonto dai colori ancora deboli su un mare bianco che entra tra le valli come se d'un tratto fossi catapultato in qualche terra del nord. Ad est la luna è enorme, rosa, li, quasi la puoi sfiorare.
Come due dimensioni, terre sommerse e terre emerse.
Intanto il sole cala lentamente nel suo continuo andirivieni.
E' cinque giorni che è così, è cinque giorni che ne rimango stupito.

martedì 18 gennaio 2011

In questi labirinti

Posso godere di questo sentimento.
Posso toccarlo, abbracciarlo accoglierlo, osservarlo. Respirarlo.
Nonostante questi labirinti, nonostante gli sbagli, nonostante i colori.
Ne godo guardando chi non è davanti a me nello sfuggire del tempo, del passar delle lune.
Nonostante i miei inespugnabili labirinti, dove sogni e realtà si scontrano tornando polvere.
Quella polvere che fluttua nell'aria che respiro avidamente.
Ho la pienezza dentro me dell'emozione che mi avvolge.
Ho il calore, la poesia di questa amabile follia.