Questioni di qualità o solo formalità? Continuerò a non studiare a non lavorare a non guardare la tivù. A non andare al cinema a non fare sport. A evitare le insegne luminose che attirano allocchi. A non essere pigro di testa. A non mentire. Ma ben vestito, quello si

sabato 7 maggio 2011

Lost in Dublin

Un'altro bicchiere svuotato in poco tempo ed è solo da poche ore che sono qui.
All'arrivo ad accogliermi nebbia, vento e pioggia. Sapevo dei capricci del clima di queste terre. Quasi un augurio di benvenuto nel mezzo di quell' umida oscurità.
I colori grigi e verdi che ho sempre pensato sono davanti a me, reali e concreti, ma altri sono i colori vivaci che stupiscono e ti confondono le idee.
Andare in certi luoghi fino ad ora sconosciuti è un po' fare i conti con la tua realtà. E' un susseguirsi di domande su come sarebbe stata la tua vita se fossi nato qui o altrove. Come il tuo senso della vita sarebbe stato diverso, come la naturale evoluzione avesse cambiato il tuo essere. I nostri pensieri, i nostri dogmi, le nostre paure, le nostre verità, ti accorgi che derivano molto dal contesto che ti circonda, che ti spreme, che da tutto quello che nasce dentro di noi. Le radici sono fuori di noi, noi possiamo solo prenderci cura di loro, elaborarle, adattare al nostro modo di essere. Una continua evoluzione.
Seduto qui, mentre il locale a quest'ora del pomeriggio inizia a riempirsi, guardo dalla finestra infondo alla sala; c'è più luce, il sole anima le vie. I volti delle persone che incrocio incuriosiscono, leggo quel che posso attraverso i modi e i gesti di sconosciuti, vite lontane e vicine che con tutta probabilità mai più incontrerò, forse è per questo che ho avidità di immagini, di sensazioni. Raccogliere quei distratti momenti come souvenir di vite sconosciute, reali nella loro naturalezza, entrando e uscendo da un pub all'altro, in un groviglio frettoloso e stancante, bere come non ricordavo di aver fatto da molto tempo a questa parte.
Fotogrammi silenziosi si rivelano in quegli attimi davanti a me. Sentirmi qui da solo in questo viaggio, accompagnato da persone sbagliate. Sono barriere che si creano tra le persone nonostante le conosci da tempo, quando alla meglio non si ha più niente da dirsi, o alla peggio non si è mai condiviso un idea, un pensiero nonostante anni di frequentazioni e di scontri. Scontri che fortificano rapporti ma che alla lunga senza un punto in comune finiscono per annoiare ed allontanarti, a non darti più niente. Le "alchimie" lontano da casa si affievoliscono. Deliri composti sull'ordine delle cose. La Garda ad inseguirmi nei vicoli ciechi dentro di me, senza mai raggiungermi. Ma so che mi basta questa gente di questa sconosciuta Dublino.
Passeggiando tra i viali della periferia tra case basse, ordinate, accoglienti nei loro spazzi vitali, gli alberi già fioriti, la sera sulla Baia giunge, arrossando le nuvole diradate in cielo. In un ordine tridimensionale le luci si accendono, la città cambia volto in una tonalità crepuscolare piacevole. Ancora Guinness a scorrere nella gola con il suo gusto amaro così simile al sapore della vita. Osservo di continuo tutte queste persone riversate dalle cinque di pomeriggio nei Pub di Temple Bar a dimenticarsi, a confidarsi tra sconosciuti, a divertirsi immersi tra pinte di birra scura che sembra non bastare mai. Molti di quei volti ti raccontano di loro con parole che prendono vita. Non è importante se la loro lingua a me è quasi sconosciuta, io capisco, loro capiscono me, nell'imbarazzo gesticolante di parole confuse. In un risveglio dei sensi la radioattività pare sia già qui, arrivata da lontano, si sente nell'aria. Lascia immagini stampate sulle pareti della città come radiografie. E in quelle immagine vedo sempre lo stesso profilo, lo stesso sguardo intenso, mi segue, mi osserva. Io seguo lei. Dentro e fuori dai locali, dentro e fuori da me, mi guida, in un vortice inspiegabile, mentre le ossa fanno sentire la loro stanchezza in attimi di quiete apparente al calar del vento.
Un susseguirsi di strade e locali, conoscenze sfottenti. Girovagando qua e la, fermandomi ad osservare il cielo nuvoloso di quei mutevoli istanti, tra mercatini affollati e chincaglierie appariscenti, mentre un berretto dalle tonalità verdi mi sorprende nelle sua morbidezza, confondendo il rosa velato che svelava fotografie a chilometri di distanza, in altri luoghi, aprendo stati mentali in invitanti angoli nascosti. Fino a passeggiare lungo il mare, accompagnato da un vento che ti taglia in due senza disturbarti, portandoti nella lontananza selvaggia del verde delle colline che circondano le luci della città.
In quel verde ti perdi, non ritrovi più la direzione, così diverso, a tratti così familiare, affoghi nel nero dei laghi di torba e nell' oscurità liquida delle tante Guinness bevute in quei pub troppo pieni che, stranamente non ti infastidiscono. La primavera si insinua tra le terre e i rigagnoli di acqua nera che scendono dai crinali arrotondati e spogli.
Le devastazioni, i movimenti della terra  non erano poi così lontani, si avvicinavano pesantemente provenienti da altre parti del mondo. Inquiete e fuggevoli riflessioni sulla follia, di quelle ultime ore stanche con la poca voglia di riprendere il volo e tornare a sud, nel disordinato ordine delle cose. Insani pensieri all'ombra dell'ultima pinta tra la gente d'Irlanda, con il suono di violini e fisarmoniche a scandire lo scorrere delle lancette, nell'ultimo tuffo dentro quegli occhi irrequieti.
Dovevo perdermi. Avrei voluto perdermi in quelle notti d'Irlanda, ma avevo un indirizzo in tasca e c'erano troppi taxi  quella notte a Dublino.

Diario di un breve viaggio lontano da qui nel mese di marzo 2011 mentre la terra tremava, l'acqua devastava, la radioattività si disperdeva nell'aria.

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